I nostri Santi

San Fedele

Fedele, soldato romano alla corte imperiale di Milano venne scoperto cristiano ed imprigionato con altri soldati. Riuscendo a fuggire con i suoi commilitoni, fra i quali Carpoforo, Cassio ed Esanto, prese la strada di Como. Il gruppo, inseguito da un drappello di soldati romani, fu raggiunto nell’attuale località di Camerlata, dove Carpoforo con i compagni venne catturato e subì il martirio per la fede. Il primo vescovo di Como, Felice, su un tempio dedicato a Mercurio, fece costruire una prima ‘memoria’ cristiana, sulle cui strutture sorse un edificio altomedioevale ultimato in forme romaniche nel sec. Xll. (L’attuale basilica di san Carpoforo). Nella Basilica furono trasferiti i corpi di alcuni Santi ‘…tra i quali Carpoforo, che erano collocati in una località poco discosta chiamata S.Martino alla Selvetta’ (Rovelli, Storia di Como, vol. l pag.81).
Fedele, invece continuò la fuga fino a Samolaco, dove, raggiunto, subì il martirio per la fede tra i 303 e il 305 d.C. Sul luogo, seguendo la documentata tradizione del culto, i cristiani costruirono un tempietto che ancora oggi è noto col nome di S.Fedelino. Ivi le spoglie del glorioso martire riposarono fino al 964, anno in cui il Vescovo di Como Gualdone (o Ubaldo) le rilevò e portò solennemente in città, nella chiesa paleocristiana di S.Eufemia, che da allora assunse il nome di S.Fedele. l cronisti descrivono l’avvenimento come una festa, anzi come un tripudio di tutti i comensi (Rovelli, o.c. pag.132). Interrate prima nel mezzo del presbiterio, il 4 giugno 1365, per opera di Stefano Gatti, 66° Vescovo di Como (1362-1369) le ossa di S.Fedele trovarono collocazione stabile in quella preziosa arca marmorea, arricchita da una fascia in belle tessere di vetro dorato recanti ritratti di papi e di santi, che vediamo oggi sotto l’altare maggiore. Questo episodio è documentato per esteso nella scritta latina in caratteri gotici scolpita sull’arca medesima.
Trascrizione del verbale di traslazione a caratteri gotici latini inciso sull’arca. Lettura: Anno Domini MCCCLXV – intrante mense junli – die quarto – translatum fuit corpus – beatissimi atletae martiris Fidelis – celebriter a medio chori huius ecclesiae praesentis ad hanc marmoream arcam – in ipsaque reverenter reconditum – praesente Reverendo Patre domino Stephano – Dei gratia Episcopo Cumano – ac etiam ibidem assistentibus praesentialier – toto ciero omnique populo devote cumanis’Nell’anno 1365, all’inizio del mese di giugno, il giorno 4, il corpo del beatissimo Fedele, martire e atleta di Dio, con grande partecipazione fu trasportato dal centro del coro fino a questa arca marmorea e in essa fu religiosamente riposto, alla presenza del Reverendo Padre Stefano, Vescovo di Como, assistito anche da tutto il clero e da tutto il devoto popolo comense.
Numerose ricognizioni delle ossa di S.Fedele furono compiute in seguito, dai Vescovi di Como fino all’ultima del 1964, in occasione delle solenni celebrazioni del millenario della traslazione. In quell’anno le ossa del martire furono ricomposte nell’urna di bronzo dorata opera di pregevole fattura della ditta Silva di Como dell’anno 1906, collocata entro l’arca marmorea, nella quale si trovano inseriti, con il verbale di ricognizione del millenario i documenti delle precedenti ricognizioni.
Oltre che da numerose comunità parrocchiali della diocesi e di quelle confinanti, san Fedele è onorato come patrono della città di Palazzolo sull’Oglio in provincia di Brescia.
La Chiesa di Como ricorda la memoria di san Fedele il 29 ottobre.

 

San Donnino

Il giorno della memoria di san Donnino è il 9 ottobre: la nostra parrocchia lo festeggia solennemente nella chiesa a lui dedicata nella seconda domenica di ottobre.

Le varie redazioni della passio di s. Donnino, che narrano, con ricchezza di particolari, la sua vita, elencate dai Bollandisti, sono tutte posteriori al sec. V e in gran parte leggendarie. Sembra siano state compilate sulla falsariga di quella di s. Maurizio, ma sono importanti come testimonianza della diffusione del culto. Il nucleo storico della passio di Donnino si riduce probabilmente a quanto ci ha tramandato una recensione del Martirologio Geronimiano, in cui si legge, al 9 ottobre senza altra precisazione, Natalis S. Domnini martyris ed in cui si attesta l’esistenza di un Donnino martire. Non lo commemorano i Martirologi di Beda, Adone, Notkero e il Parvum Romanum. Usuardo ne ha forse ricevuto notizia da qualche codice del Geronimiano e ci dà un racconto più ampio, probabilmente attinto a una passio, e il suo elogio è passato nel Romano al 9 ottobre. Niente di certo sappiamo sulla sua patria d’origine e sull’epoca del suo martirio che viene posto alla fine del III o all’inizio del IV sec.Il suo culto è legato ab immemorabili al territorio di Fidenza (Parma), che da lui ricevette il nome di Borgo S. Donnino, rimasto fino al 1927, e che ne custodisce, senza che altra località gliele contesti, le reliquie, ragione per cui acquista probabilità, se non vera certezza, la circostanza che egli abbia subito il martirio in quei paraggi. Il primitivo oratorio fidentino a lui dedicato risale al sec VI; ad esso si sostituì la basilica più antica nel sec. IX e, nel XII, l’odierna monumentale che porta sulla facciata dieci sculture rappresentanti la vita del santo, attribuite alla scuola dell’Antelami. Viene rappresentato con la palma del martirio, in abito militare, con il capo tronco fra le mani. Il suo culto è assai diffuso specialmente nell’Italia Settentrionale. Il popolo ricorre a lui per essere guarito dall’idrofobia: questa devozione deve essere antica, poichè è attestata dal racconto di una redazione della passio, secondo il quale il santo guarì un idrofobo, dandogli da bere acqua e vino, dopo averla benedetta e aver invocato il Signore.

 

Santa Cecilia    Vedi la scheda su SantiEBeati.it

Sant’Eusebio di Vercelli

Sant’ Eusebio di Vercelli, vescovo
(Sardegna, inizio IV secolo – Vercelli, 1 agosto 371/372)
Arriva in gioventù dalla nativa Sardegna a Roma, segue gli studi ecclesiastici e si fa apprezzare da papa Giulio I, che verso il 345 lo nomina vescovo di Vercelli: è il primo vescovo del Piemonte. Qui stabilisce per sé e per i suoi preti l’obbligo della vita in comune, collegando l’evangelizzazione con lo stile monastico. Ora i cristiani, non più perseguitati, cominciano a litigare tra loro: da una parte, quelli che seguono la dottrina del concilio di Nicea (325) sul Figlio di Dio, ‘generato, non creato, della stessa sostanza del Padre’; dall’altra, i seguaci dell’arianesimo, che nel Figlio vede una creatura, per quanto eminente. Con l’appoggio della corte imperiale, gli ariani hanno il sopravvento in molte regioni, e faranno esiliare per cinque volte il più energico sostenitore della dottrina nicena: Atanasio, vescovo di Alessandria d’Egitto, ammirato da Eusebio che l’ha conosciuto a Roma.
Annullato il secondo suo esilio, un concilio ad Arles (Francia), con decisione illegale, condanna Atanasio per la terza volta. Allora il papa Liberio manda all’imperatore Costanzo (figlio di Costanzo il Grande) appunto Eusebio, già suo compagno di studi, con Lucifero, vescovo di Cagliari. Ed essi ottengono di rimettere la questione a un nuovo concilio, che si riunisce nel 355 a Milano, dove viene anche il sovrano. E subito si riparla di condannare ed esiliare Atanasio. Replica lucidamente Eusebio: prima di esaminare i casi personali, mettiamoci piuttosto tutti d’accordo sui problemi generali di fede, firmando uno per uno il Credo di Nicea. Una proposta ragionevole, che però scatena il tumulto tra i vescovi e un altro tumulto dei fedeli contro i vescovi. Costanzo fa proseguire i lavori nella residenza imperiale (senza i fedeli) e tutti approvano la ri-condanna di Atanasio. Tutti meno tre: Eusebio, Lucifero, e Dionigi, vescovo di Milano. Questi non cedono, e Costanzo li esilia.
Eusebio viene mandato a Scitopoli di Palestina, e di lì scrive ai suoi vercellesi una lettera giunta fino a noi. Poi è trasferito in Cappadocia (Asia Minore) e poi nella Tebaide egiziana. Nel 361, morto l’imperatore Costanzo, si revocano le condanne: Atanasio torna ad Alessandria e indice un concilio, presente anche Eusebio, che poi però non torna subito a Vercelli: lo chiamano ad Antiochia di Siria, dove l’estremismo del vescovo Lucifero fa litigare i cattolici tra di loro. Ritrova infine Vercelli nel 362. Studia, scrive, riprende l’evangelizzazione delle campagne, istituisce la diocesi di Tortona. Ma si spinge anche in Gallia, insediando un vescovo a Embrun. La tradizione lo considera pure fondatore di due illustri santuari: quello di Oropa (Biella) e di Crea (Alessandria). La morte lo coglie nella sua città episcopale, che ne custodisce tuttora le reliquie nel Duomo, ricordandolo anche a fine XX secolo col nome del giornale della diocesi: L’Eusebiano.
Autore: Domenico Agasso – Fonte: Famiglia Cristiana

 

 

San Carlo Borromeo

San Carlo Borromeo, vescovo
(Arona 1538 – Milano, 3 novembre 1584)

Nato nel 1538 nella Rocca dei Borromeo, padroni e signori del Lago Maggiore e delle terre rivierasche, secondo figlio del Conte Giberto e quindi, secondo l’uso delle famiglie nobiliari, fu tonsurato a 12 anni. Il giovane prese la cosa sul serio: studente a Pavia, dette subito prova delle sue doti intellettuali. Chiamato a Roma, venne creato Cardinale a soli 22 anni. Gli onori e le prebende piovvero abbondanti sul suo cappello cardinalizio, poiché il Papa Pio IV era suo zio. Amante dello studio, fondò a Roma un’Accademia secondo l’uso del tempo, detta delle ‘ Notti Vaticane ‘. Inviato al Concilio di Trento vi fu, secondo la relazione di un ambasciatore, ‘ più esecutore di ordini che consigliere ‘. Ma si rivelò anche un lavoratore formidabile, un vero forzato della penna e della carta.
Nel 1562, morto il fratello maggiore, avrebbe potuto chiedere la secolarizzazione, per mettersi a capo della famiglia. Restò invece nello stato ecclesiastico, e fu consacrato Vescovo nel 1563, a 25 anni.
Entrò trionfalmente a Milano, destinata ad essere il campo della sua attività apostolica. La sua arcidiocesi era vasta come un regno, stendendosi su terre lombarde, venete, genovesi e svizzere. Il giovane Vescovo la visitò in ogni angolo, preoccupato della formazione del clero e delle condizioni dei fedeli. Fondò seminari, edificò ospedali e ospizi. Profuse, inoltre, a piene mani, le ricchezze di famiglia in favore dei poveri.
Nello stesso tempo, difese i diritti della Chiesa contro i signorotti e i potenti. Riportò l’ordine e la disciplina nei conventi, con un tal rigore da buscarsi un colpo d’archibugio, sparato da un frate indegno, mentre pregava nella sua cappella. La palla non lo colpì, e il foro sulla cappamagna cardinalizia fu la più bella decorazione dell’Arcivescovo di Milano.
Durante la terribile peste del 1576 quella stessa cappa divenne coperta dei miti, assistiti personalmente dal Cardinale Arcivescovo. La sua attività apparve prodigiosa, come organizzatore e ispiratore di confraternite religiose, di opere pie, di istituti benefici.
Milano, durante il suo episcopato, rifulse su tutte le altre città italiane. Da Roma, i Santi della riforma cattolica guardavano ammirati e consolati al Borromeo, modello di tutti i Vescovi.
Ma per quanto robusta, la sua fibra era sottoposta a una fatica troppo grave. Bruciato dalla febbre, continuò le sue visite pastorali, senza mangiare, senza dormire, pregando e insegnando.
Fino aIl’ultimo, continuò a seguire personalmente tutte le sue fondazioni, contrassegnate dal suo motto, formato da una sola parola: Humilitas.
Il 3 novembre dei 1584, il titanico Vescovo di Milano crollò sotto il peso della sua insostenibile fatica. Aveva soltanto 46 anni, e lasciava ai Milanesi il ricordo di una santità seconda soltanto a quella di un altro grande Vescovo milanese, Sant’Ambrogio.

La chiesa celebra la memoria obbligatoria di san Carlo Borromeo  il giorno 4 novembre. La nostra parrocchia lo ricorda assieme a sant’ Eusebio di Vercelli nella chiesa a loro dedicata la prima domenica di novembre.
La chiesa celebra la memoria facoltativa di sant’Eusebio di Vercelli il giorno 2 agosto. La nostra parrocchia lo ricorda assieme a san Carlo Borromeo nella chiesa a loro dedicata la prima domenica di novembre.

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